LA POESIA NON E'.....

"La poesia non è un abito da sera, ma un paio di comodi jeans.
Con i versi si può giocare, le parole si possono maneggiaree usare come una cosa di tutti i giorni.
Senza soggezioni né accademia.
E allora si impara a conoscere meglio se stessi e il mondo."

lunedì 22 febbraio 2010

llllllllllllllllll

domenica 21 febbraio 2010

Comprensione di un testo poetico


Lettura e comprensione di poesie
_________________

Leggere le poesie due volte e completare gli esercizi:


Renzo Pezzani
LA NUVOLA

Ti conosco, nuvoletta
che cammini sola sola
non armata di saetta,
come un angelo che vola.

Ti conosco anche se il vento
che ti gonfia e ti sospinge
ti trasforma in un momento
mentre il sole ti dipinge

intingendo i suoi pennelli
nei colori più vivi e belli.

Tutta rosa stamattina,
tutta bianca a mezzodì,
ti conosco mascherina
trasformata anche così.

Or somigli un cavallino
sciolta al vento la criniera,
ora sei la caffettiera
che trabocca sul giardino;

ora là, nell’infinito,
sembri un albero fiorito.
(da Innocenza, Torino, Sei)



1. Quella che hai letto è ______________________________________________________

2. Come si intitola la poesia che hai letto?

_________________________________________________________________________
3. Come si chiama il poeta che ha scritto questa poesia?

__________________________________________________________________________


4. Da quanti versi è formata questa poesia? ____________________________________


5. Ci sono strofe nella poesia? ____________________________________


6. Quante sono le strofe di questa poesia? ____________________________________


7. Da quanti versi sono formate le strofe? ____________________________________


8. Ci sono anche alcune strofe formate da _____________________ versi.


9. Ci sono delle rime nella poesia? Cioè ci sono delle parole in fondo ai versi che finiscono con le stesse lettere?

SI NO


10. Due parole in una poesia fanno rima fra loro quando

a) sono completamente diverse
b) terminano con lettere uguali
c) iniziano con lettere uguali


11. Le parole in rima di solito sono a) all’inizio dei versi
b) alla fine dei versi


12. Infatti nella poesia la parola “nuvoletta” fa rima con
a) armata
b) sola
c) saetta


13. La parola “sola” fa rima con
a) cammini
b) saette
c) vola


14. La parola “vento” fa rima con
a) sospinge
b) momento
c) gonfia


15. La parola “sospinge” fa rima con
a) dipinge
b) trasforma
c) sole


16. La parola “pennelli” fa rima con a) color
b) vivi
c) belli


17. La parola “stamattina” fa rima con la parola
a) mezzodì
b) bianca
c) mascherina


18. La parola “mezzodì” fa rima con la parola
a) così
b) conosco
c) stamattina


19. La parola “cavallino” fa rima con la parola
a) caffettiera
b) giardino
c) sciolta


20. La parola “criniera” fa rima con la parola
a) trabocca
b) caffettiera
c) giardino


21. La parola “infinito” fa rima con la parola ____________________________________
(guarda in fondo alla poesia se non ti ricordi).


22. Sottolinea adesso nella poesia solo due parole che sono in rima fra loro.


23. In questa poesia il poeta immagina di parlare ad una persona lontana.


VERO FALSO

24. Infatti in questa poesia il poeta immagina di parlare
a) a un bambino
b) a una nuvola
c) ad un gatto


24. Il poeta dice che la nuvola è senza saetta cioè è senza __________________________


__________________________________________________________________________

perciò il poeta immagina la nuvola
a) in un cielo pieno di tuoni e fulmini
b) in un cielo tempestoso
c) in un cielo calmo e sereno


25. Il poeta paragona addirittura la nuvola
a) ad un angelo che vola
b) ad una colomba che vola
c) ad un velo leggero


26. Il poeta dice anche che il vento ____________________________________________


__________________________________________________________________________


__________________________________________________________________________


__________________________________________________________________________


__________________________________________________________________________



27. Poi nella poesia si dice che il sole
a) brucia la nuvola
b) dipinge la nuvola
c) scioglie la nuvola


28. Perciò è come se il sole fosse
a) una fiamma che brucia la nuvola
b) solo una luce nel cielo
c) un pittore che usa i pennelli e i colori
vivaci per colorare la nuvoletta

29. Il poeta scrive che al mattino la nuvola è
a) nera
b) rosa
c) blu


mentre a mezzodì, cioè a mezzogiorno, la nuvola è

a) grigia
b) azzurra
c) bianca


30. Il vento trasforma continuamente la nuvola e la fa sembrare prima un CA_______________________________ con la CR ______________________________ sciolta al vento. Poi il vento dà alla nuvola la forma di una CA_________________________________ che trabocca sul GI______________________
_______________________ .


31. Alla fine della poesia si dice che la nuvola nel cielo infinito prende la forma


a) di una nave
b) di un albero fiorito
c) di un castello


32. Il poeta che ha scritto questa poesia ha immaginato tutte le cose che ha detto e quindi ha usato la sua

a) tristezza
b) noia
c) fantasia


33. Da quello che hai letto si comprende anche che il poeta


a) non ha interesse per le cose che lo circondano
b) ama la natura e la osserva con attenzione
c) odia la natura


34. Adesso incolla al posto giusto le etichette con il nome delle varie parti della poesia.




Renzo Pezzani
LA NUVOLA

Ti conosco, nuvoletta
che cammini sola sola
non armata di saetta,
come un angelo che vola.

Ti conosco anche se il vento
che ti gonfia e ti sospinge
ti trasforma in un momento
mentre il sole ti dipinge

intingendo i suoi pennelli
nei colori più vivi e belli.

Tutta rosa stamattina,
tutta bianca a mezzodì,
ti conosco mascherina
trasformata anche così.

Or somigli un cavallino
sciolta al vento la criniera,
ora sei la caffettiera
che trabocca sul giardino;

ora là, nell’infinito,
sembri un albero fiorito.




(da Innocenza, Torino, Sei)






35. Nella poesia che segue mancano delle parole in fondo ai versi. Queste parole sono raccolte in fondo alla poesia. Cerca di metterle al posto giusto.


Umberto Saba

FAVOLETTA


Tu sei la nuvoletta, io sono il __________________________ ;
ti porto ove a me __________________________ ;
qua e là ti porto per il ____________________________________ ,
e non ti do mai __________________________ .
Vanno a sera a dormire dietro i __________________________
le nuvolette S __________________________ .
Tu nel tuo letticciolo i sonni hai __________________________
sotto le coltri __________________________


(da Il Canzoniere, Torino, Einaudi, 1965)






PACE PRONTI


VENTO STANCHE PIACE


FIRMAMENTO BIANCHE


MONTI
-------------------------------------------------------------------------------------------------

Adesso leggi attentamente due volte questa poesia.



Giuseppe Fanciulli

NEVICATA


Cadono giù dal cielo
i fiocchi della neve
così soffice e lieve.

Son fiori senza stelo,
son d’angeli piume.
In questo bianco lume

Cadono e danno un velo
di silenziosa pace.
Nel mondo tutto tace.

(da Viaggi di primavera, Firenze, Sansoni, 1947)


Rispondi e completa:

36. Quella che hai letto è _____________________________________________________

37. Come si intitola la poesia che hai letto?

_________________________________________________________________________

38. Come si chiama il poeta che ha scritto questa poesia?

__________________________________________________________________________


39. Da quanti versi è formata questa poesia? ____________________________________


40. Ci sono strofe nella poesia? ____________________________________


41. Quante sono le strofe di questa poesia? ____________________________________


42. Da quanti versi sono formate le strofe? ____________________________________
43. Ci sono delle rime nella poesia? Cioè ci sono delle parole in fondo ai versi che finiscono con le stesse lettere?

SI NO


44. Infatti la parola “neve” fa rima con la parola ____________________________________


45. Invece la parola “cielo” fa rima con le parola

a) lieve e neve
b) stelo e velo
c) fiocchi e soffice


46. La parola “piume” fa rima con la parola ____________________________________

e la parola “pace” fa rima con la parola ____________________________________


47. Di che cosa parla questa poesia? _______________________________________________


________________________________________________________________________________


________________________________________________________________________________


________________________________________________________________________________


48. Il poeta scrive che la neve è
a) gelata
b) soffice e lieve
c) triste


49. Nella poesia si dice che i fiocchi di neve sono come

a) farfalle
b) bambini
c) fiori senza stelo

50. Il poeta scrive anche che i fiocchi di neve sono
a) piccoli cubetti
b) piume di angeli
c) piccoli frutti

51. Il poeta scrive poi che i fiocchi di neve fanno scendere sul mondo

a) un velo di solitudine
b) un velo di tristezza
c) un velo di silenziosa pace

52. Ricopia qui sotto l’ultimo verso della poesia.

________________________________________________________________________________


________________________________________________________________________________

Cosa vuol dire che “nel mondo tutto tace”?

________________________________________________________________________________


________________________________________________________________________________


________________________________________________________________________________


________________________________________________________________________________

53. Scrivi in apposite caselle il nome delle varie parti della poesia.


Giuseppe Fanciulli

NEVICATA


Cadono giù dal cielo
i fiocchi della neve
così soffice e lieve.

Son fiori senza stelo,
son d’angeli piume.
In questo bianco lume

Cadono e danno un velo
di silenziosa pace.
Nel mondo tutto tace.

(da Viaggi di primavera, Firenze, Sansoni, 1947)


-----------------------------------------------------------------------------------------------


Leggi almeno due volte questa poesia:



Czeslav Milosz

LA FINESTRA

Ho guardato dalla finestra e ho visto un giovane melo
diafano nel chiarore.

E quando ho guardato un’altra volta all’alba c’era un grande
melo carico di frutti.

Devono quindi essere passati molti anni ma non ricordo cosa
sia successo nel sonno.


(da Poesie, Milano, Adelphi, 1983)



54. Quella che hai letto è _____________________________________________________

55. Come si intitola questa poesia?

_________________________________________________________________________

56. Il poeta che ha scritto la poesia è


a) italiano
b) straniero

57. Da cosa lo capisci?

__________________________________________________________________________


__________________________________________________________________________


58. Da quanti versi è formata questa poesia? ____________________________________


59. Ci sono strofe nella poesia? ____________________________________


60. Quante sono le strofe di questa poesia? ____________________________________

61. Da quanti versi sono formate le strofe? ____________________________________

62. Ci sono delle rime nella poesia? Cioè ci sono delle parole in fondo ai versi che finiscono con le stesse lettere?

SI NO


63. Il poeta scrive che ha guardato fuori dalla ____________________________________.

Che cosa ha visto?

__________________________________________________________________________


64. Poi il poeta ha guardato fuori un’altra volta ed era
a) l’alba
b) pomeriggio
c) sera

e ha visto che il melo era carico di _______________________________________


65. Così il poeta pensa che siano trascorsi molti _________________________________ però non ricorda che cosa sia successo nel _________________________________ .

66. Nelle poesie che hai letto e che si intitolano “La nuvola”, “Nevicata” e “La finestra” i poeti parlano della natura usando la propria fantasia e la propria immaginazione. Poi si comprende che questi poeti amano la natura e vogliono trasmettere questo loro sentimento anche alle persone che leggono le loro poesie.


VERO FALSO


Nome: _________________________________

Cognome: _________________________________

Classe: _________________________


Data di oggi:

__________________________________________________________________________

martedì 12 gennaio 2010

Urlo nel silenzio

Urlo di masse
voci, passi, gesti
tra pietà curiosa e fanatismo,
irrazionale catena di incubi e fobie
ai margini dell'ossessione.
La personalità umana si lacera
il senso dell'alienazione incombe
la coscienza si smarrisce.
Spinto da una sofferenza solitaria e indecifrabile
contagiato dalla multanime esistenza
affogo lentamente nel caos
e non ho scampo
se non nella perfetta solitudine.
Anonimo

domenica 10 gennaio 2010

IL TESTO POETICO



UNGARETTI

PERCHE' LEGGERE UN TESTO POETICO



Siamo abituati a considerare la poesia come un testo particolarmente complicato e difficile da capire.

Già la poesia "classica" si sottoponeva a particolari regole costrittive — una certa quantità di sillabe per ogni verso (ossia una misura metrica), un certo numero di versi, uno schema di rime e un buon numero di figure retoriche, come la metafora — che provocavano sempre qualche contorsione e qualche complicazione anche nel discorso più votato alla chiarezza.

La poesia moderna, invece, si è sbarazzata delle regole fisse, dopo un secolo di versi liberi e di difformità strofiche, eppure non per questo è diventata più semplice: i suoi rimandi al significato si sono ingarbugliati, anzi, al punto che l’ambiguità (il dubbio su "cosa vuol dire" il testo) è diventato uno dei suoi tratti costitutivi e forse proprio il principale.

Perché, allora, dovremmo leggere la poesia in un’epoca in cui siamo riempiti di messaggi che comunicano immediatamente qualcosa, sia essa un’informazione, una richiesta d’aiuto, un invito all’acquisto?
A che scopo sprecare tempo e fatica invece di rilassarci e divertirci?

Trovare una risposta non è semplice, anche perché i fatti parlano da soli e mostrano che in un mondo di comunicazioni "facili" e veloci la poesia non incontra più il favore dei lettori.
Né è valido sostenere che la poesia è antichissima ed è impossibile che il genere umano rinunci a una forma di espressione che ha utilizzato per così tanto tempo. Della persistenza della poesia non possiamo avere nessuna certezza. Quello che possiamo dire riguarda invece la qualità dei messaggi veloci che oggi sembrerebbero aver preso il posto della poesia (la poesia odierna non sono forse le canzoni, gli slogan, la pubblicità?); ebbene queste forme di espressione sono fin troppo rapide, tanto da sacrificare qualsiasi spessore e densità, puntano non a far pensare, ma a colpire nella durata minima del consumo immediato — e poi: sono messaggi-merce, ben legati all’interesse commerciale di una rendita manifesta.

La poesia è più complessa non già perché disinteressata — come vorrebbero i tanti fautori della poesia "pura" — ma perché è un tipo di messaggio che tende a dare una visione, nel suo linguaggio concentrato e sintetico, dell’io del poeta e del suo rapporto con la società: e tra l’io e la società, e nell’io stesso (a sua volta diviso) circola una grande disparità, pluralità e contraddittorietà di interessi.

La poesia è ambigua, allora, perché ambiguo (enigmatico, paradossale, assurdo) è il mondo moderno in cui viviamo. Il poeta potrebbe far finta di niente e dedicarsi ai temi tradizionali della sfortuna sentimentale o del trascorrere del tempo; e molti poeti lo fanno: ma se solo guarda con attenzione alla propria vita non può che trovare grande quantità di confusione e controsensi e garbugli pressoché irrisolvibili. Per parlare di quelli non potrà usare parole semplici.

Lo stesso vale per il lettore: se vuole essere rassicurato e specchiarsi in una tranquilla identità forse gli conviene rivolgersi alle immagini e alle narrazioni di consumo. La poesia può invece servire a chi è insoddisfatto e vuole spingere più avanti l’osservazione dei nodi problematici dell’immaginario personale e collettivo. Per questo le immagini linguistiche della poesia funzionano precisamente come specchi deformanti, distorcenti e stranianti del ritratto consueto che ci rimandano le comunicazioni ufficiali.

La cosa migliore che possano fare è obbligare anche i lettori a spostarsi in un altrove, in uno spazio diverso, dove ancora possa emergere la spinta dell’utopia.

Perciò la poesia di oggi si deve leggere come un percorso di ricerca di un senso che non è prescritto in partenza.

È come quando si guarda un quadro e non si sa da che parte cominciare.

Ci si potrà rivolgere alla sonorità delle parole, e dare ascolto alla loro musica o alla loro asprezza. E si potrà anche seguire il ritmo della ricorrenza degli accenti o di determinate parole "ritornanti" o disposte in posizioni-chiave. Abbandonate le regole che prescrivevano la misura fissa, la poesia moderna si affida a ritmi molto vari che comprendono i cambiamenti di ritmo, la dissonanza, il contrasto.

Ma ci sono anche i sensi che le parole suggeriscono mediante le sfumature del significato (significati allusivi, analogie, echi tra parti anche lontane del discorso). Anche qui la poesia ha un ritmo: ora si accende di illuminazioni e sembra avere raggiunto la rivelazione assoluta, ora si spegne e si ripiega nella constatazione del fallimento, nella negazione di qualsiasi significato. C’è anche, infine, un ritmo delle idee che la poesia — sebbene il senso comune la ritenga priva di logica — spesso contiene e rielabora, anch’esse in forma concentrata e sintetica.

Proprio in questo ritmo, in questa ginnastica mentale, nel tentativo di raggiungere una comprensione che è sempre e soltanto probabile è la ragione del fascino che la poesia continua a mantenere e che spinge ancora molti a praticarla e ad ascoltarla, malgrado le difficoltà e i tanti imperativi della ragione utilitaria che vorrebbero dissuadere e distogliere dalle "licenze poetiche".

Il Testo poetico

Che cos’è

Il testo poetico è un’opera in versi in cui l’autore esprime un messaggio. Il termine poesia, dal greco poieìn, indicava la creazione di un’opera che in qualche modo superava gli altri generi di scrittura. Dall’Ottocento in poi non esistono più rigide distinzioni e il termine poetico viene utilizzato anche per rilevare l’aspetto lirico di molte pagine di prosa di alta qualità letteraria.

Caratteristiche

Nell’analisi di un testo poetico è necessario prestare attenzione alle seguenti caratteristiche:

• il linguaggio, che segue regole totalmente diverse da quello della lingua con la quale siamo soliti esprimerci;

• i versi, che si riconoscono visibilmente rispetto alle righe del testo in prosa, la cui lunghezza raggiunge il margine destro della pagina;

• la musicalità, estranea ai normali testi narrativi in prosa e alle nostre conversazioni;

• il significato che il testo poetico riesce a esprimere con un certo livello di complessità, grazie al modo in cui il messaggio viene organizzato. Nel linguaggio comune il significante (la successione di lettere alfabetiche che formano la parola) rimanda a un preciso significato, secondo quanto stabilito convenzionalmente dal codice lingua. Nel linguaggio poetico, invece, il poeta utilizza in modo del tutto personale il significante, attribuendogli dei significati che non sono più quelli stabiliti dal codice.



Giuseppe Ungaretti



Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888. La sua famiglia, di origine contadina, aveva lasciato la Lucchesia per seguire Antonio Ungaretti, il capofamiglia, il quale aveva trovato lavoro come sterratore presso il canale di Suez. Nel 1890, tuttavia, alla tenera età di due anni, Giuseppe rimase orfano del padre assieme al fratello, Costantino, di otto anni più grande di lui. Fu costretta ad occuparsi dei figli la sola madre, una donna energica, molto religiosa, che gestiva alla periferia della città, dove la famiglia viveva, un forno di proprietà del marito. A quell’epoca era presente in famiglia anche Anna, una vecchia croata. Le vicende fantasiose e le notizie esotiche, sulla base dei suoi trascorsi avventurosi, che ella raccontava si impressero definitivamente nella memoria del futuro poeta. L’abitazione degli Ungaretti si trovava ai limiti del deserto e la sensibilità di Giuseppe fu segnata per sempre dai silenzi, dai suoni misteriosi, dai colori di quel paesaggio favoloso e primitivo. A questa prima immagine se ne aggiunse nella fantasia un’altra, quella dell’Italia lontana. Ad alimentarla contribuirono i discorsi che se ne facevano in famiglia e i racconti di perseguitati politici e fuoriusciti italiani ai quali la madre offriva generosa ospitalità. La sua istruzione scolastica iniziò in un collegio di religiosi, l’Istituto don Bosco, e proseguì all’Ecole Suisse Jacot, dove compì gli studi liceali. Qui conobbe Mohammed Sceab, un giovane arabo di cui divenne amico fraterno. In questa scuola, grazie all’interessamento dei suoi insegnanti, poté avvicinarsi alla conoscenza della letteratura europea. Lesse ed amò, tra gli altri, Baudelaire, Mallarmè, Lafourge ed in particolare Giacomo Leopardi. La sua fu una formazione dilettantesca, al di fuori degli schemi culturali ed accademici tradizionali. Attraverso l’amico Sceab conobbe Enrico Pea, uno scrittore toscano, originario della Versilia. Costui, anarchico convinto, oltre a svolgere delle promiscue attività commerciali, teneva delle riunioni di affiliati e simpatizzanti sopra un deposito di legname, nella cosiddetta “Baracca rossa”. Da queste riunioni nascevano spesso clamorose dimostrazioni pubbliche, che si concludevano talvolta col fermo e con l’arresto dei partecipanti. Ungaretti simpatizzò e prese parte a queste attività, sia di persona, sia attraverso la redazione di articoli, novelle e scritti diversi che venivano pubblicati sui fogli di propaganda anarchica. Nel frattempo venne a conoscenza dell’esistenza della rivista “La voce”, nata nel 1908 a Firenze, vi si abbonò e ne divenne corrispondente per l’Egitto, legandosi di amicizia epistolare con i suoi redattori.


Ideologia e Poetica

Ungaretti vive nel periodo in cui la borghesia, dopo aver realizzato in Italia il capitalismo, non porta avanti gli ideali di giustizia e libertà, ma si chiude in se stessa, temendo di perdere la propria egemonia, e affida la risoluzione delle proprie contraddizioni sociali prima al colonialismo-imperialismo, poi alla guerra mondiale, al fascismo e alla II guerra mondiale.

Ungaretti è il maestro riconosciuto dell’Ermetismo. Il termine “ermetico” significa “chiuso”, “oscuro”. La definizione venne adottata per la prima volta dalla critica nel ‘36, in riferimento soprattutto alla sua poesia. Successivamente si inclusero negli ermetici anche Montale, Saba e in parte Quasimodo.

· L’Ermetismo si oppone soprattutto al Decadentismo di D’Annunzio, cioè agli atteggiamenti estetizzanti e superomistici; ma anche a quello del Pascoli, giudicato troppo bozzettistico e malinconico, troppo soggettivo e poco universale.

· L’Ermetismo si oppone anche ai crepuscolari, ai futuristi, ai “vociani”, perché non si accontenta di una riforma stilistica e non sopporta la retorica.

E’ l’esperienza della guerra che rivela al poeta la povertà dell’uomo, la sua fragilità e solitudine, ma anche la sua spontaneità e semplicità (primitivismo) che viene ritrovata nel dolore. L’esistenza è un bene precario ma anche prezioso. In guerra egli si è sottratto ad ogni vanità e orgoglio; nella distruzione e nella morte ha però riscoperto il bisogno di una vita pura, innocente, spontanea, primitiva. Ha acquisito compassione per ogni soldato coinvolto nell’assurda logica della guerra: ha maturato, per questo, un profondo senso di fraterna solidarietà. La sua visione esistenziale è dolorosa perch’egli pensa che l’uomo non abbia la possibilità di concretizzare le sue aspirazioni conoscitive e morali. Ungaretti non crede nelle filosofie razionali e cerca di cogliere la realtà attraverso una poetica che s’incentri sull’analogia, cioè sul rapido congiungimento di ordini fenomenici diversi, di immagini fra loro molto lontane che la coscienza comune non metterebbe insieme.

Questa esperienza lo porta a rifiutare -soprattutto nell’Allegria- ogni forma metrica tradizionale: rifiuta il lessico letterario, le convenzioni grammaticali, sintattiche e retoriche (ad es. elimina la punteggiatura, il “come” nelle analogie, ecc. Diventano importanti gli accenti tonici, le pause). Crea un ritmo totalmente libero, con versi scomposti, brevissimi, scarni, fulminei, dove la singola parola acquista un valore assoluto, dove il titolo è parte integrante del testo. La poetica qui è frammentaria, allusiva, scabra, anche perché il poeta non ha una realtà ben chiara da offrire.

Ne Il porto sepolto Ungaretti lascia intendere che poesia significa possibilità di contemplare la purezza in un mondo caotico e assurdo, ma la poesia dev’essere espressione di un’esperienza particolare, intensamente vissuta: la ricerca del vocabolo giusto è faticosa, perché l’uomo deve liberarsi del male che è in lui e fuori di lui.

Ne L’allegria il poeta non accetta le illusioni e preferisce star solo con la sua sofferenza (cfr. Peso, dove al contadino-soldato che si affida, ingenuamente, alla medaglia di Sant’Antonio per sopportare meglio il peso della guerra, il poeta preferisce stare “solo”, “nudo”, cioè senza illusioni (“senza miraggio”), con la sua anima. Ungaretti tuttavia non è ateo: si limita semplicemente a chiedersi che senso ha Dio in un mondo di orrori (cfr Risvegli) e perché gli uomini continuano a desiderarlo quando ciò non serve loro ad evitare gli orrori (cfr Dannazione). Il contrasto è fra una religiosità tradizionale, superficiale, e una religiosità più intima e sofferta, che in Fratelli si esprime come profonda umanità, partecipazione al dolore universale. E’ solo negli Inni che Ungaretti ripone nella fede religiosa la soluzione delle contraddizioni umane (cfr La preghiera).

Il superamento dell’autobiografismo e la modificazione dello stile ermetico avviene nel Sentimento del tempo. Qui il poeta ha consapevolezza che il tempo è cosa effimera rispetto all’eterno (la riflessione è molto vicina ai temi della religione). La poesia aspira a dar voce ai conflitti eterni, a interrogativi drammatici: solitudine e ansia di una comunicazione con gli altri, rimpianto di un’innocenza perduta e ricerca di un’armonia col mondo, ecc. In questa raccolta Ungaretti ritrova i metri e i moduli della tradizione poetica italiana (ad es. riscopre il valore dell’endecasillabo, del sistema strofico, della struttura sintattica).
L’ultima importante raccolta, Il dolore, contiene 17 liriche dedicate al figlio e altre poesia di contenuto storico (sulla IIa guerra mondiale). Qui il discorso diventa più composto, quasi rasserenato. Toni e parole paiono affiorare da un’alta saggezza raggiunta al prezzo di una drammatica sofferenza. Il poeta esprime una inappagata ma inesauribile tensione alla pace e all’amore universali.

La tristezza di Ungaretti
L’ermetismo è una forma d’individualismo ma sofferente. E’ più profondo del decadentismo del Pascoli e di tutte le correnti ad esso contemporanee: futurismo, crepuscolarismo, superomismo dannunziano, “vocismo”...; forse lo si può paragonare al simbolismo francese.

L’ermetismo però non contiene messaggi etico-politici significativi. Anzi, con Ungaretti (che era partito, come il Pascoli, dal socialismo anarchico), esso giunge a desiderare la dittatura politica, nell’illusione di poter risolvere i mali sociali.

Il suo ermetismo, che fu apprezzato da Mussolini, esprime il bisogno di recuperare la purezza originaria degli individui, la loro primitiva semplicità e forza d’animo. L’intenzione, di per sé, è lodevole, ma se in politica si cerca di affermare un principio del genere, senza realizzare, nel contempo, una rivoluzione sociale e culturale, lo sbocco verso l’ideologia fascista diventa inevitabile, anche se un poeta come Ungaretti non potrà non accorgersi, in seguito, che il regime fascista, incapace di affrontare la complessità della vita, predicava solo illusioni e mistificazioni.

L’ermetismo, se si fosse agganciato ai temi del proletariato, avrebbe avuto un’immensa fortuna. C’è della sensualità nella bellissima poesia Natale, soprattutto laddove si parla di “caldo buono” e di “quattro capriole”. Il poeta sembra aver rifiutato l’invito dei suoi amici soldati, in licenza come lui, di dimenticare (forse in qualche postribolo) le fatiche e gli orrori della guerra.

Al poeta non piacciono gli atteggiamenti superficiali, evasivi: egli ha “troppa stanchezza”, cioè troppa amarezza, per poter fingere. Preferisce star solo coi suoi pensieri piuttosto che, senza pensieri, nelle braccia d’una donna d’occasione. Gli sembrerebbe di tradire se stesso, di venir meno all’impegno di prendere con serietà le cose della vita.

Il “caldo buono” è quello che riscalda l’anima, non il corpo, quello che riconcilia con l’esistenza, che aiuta ad accettare il dolore con sobrietà e coerenza. Anche questo è un modo di vivere la sensualità: “le quattro capriole di fumo nel focolare” gli tengono compagnia come un’amante che lo conosca nel suo più profondo





POESIA E FORMAZIONE


Poesia, scuola, formazione umana. «Dentro» il Pascoli: un'immersione divulgativa nel suo pensiero pedagogico



Descrizione
Esaminando poesie e prose pascoliane da un inedito punto di vista, il saggio ricostruisce quello che può a buon diritto considerarsi la pedagogia di Giovanni Pascoli, una complessa riflessione che giunge a suggerire un autentico itinerario formativo per il recupero degli esseri umani (fin dall' infanzia e nelle età adulte, singolarmente e come comunità e popoli) dallo stato di violenta ferita nel quale sono precipitati ad un ammansamento generatore di solidarietà e pace.

È un percorso risultante dal convergere e interagire di tre fondamentali fattori formativi: la poesia, se capace di fare, della scienza, coscienza, una religiosità "deista" e laica, cui egli pervenne attraverso la febbrile ricerca di valori comuni a cristianesimo evangelico, socialismo, ideali massonici. All'interrogativo circa l'eventuale, persistente attualità e praticabilità, oggi, della proposta formativa pascoliana, Antonio Corsi offre inoltre una documentata, attendibile e non scontata risposta.

venerdì 8 gennaio 2010

GIORNO PER GIORNO




--------------------------------------------------------------------------------

"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto..."
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo...

2.

Or apotrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch'io regga a tanta notte?...

3.

Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M'avresti consolato...

4.

Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più...

7.

In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null'altro vedano
Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...

8.

E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto!...

10.

Sono tornato ai colli, ai pini amati
E del ritmo dell'aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio..

11.

Passa la rondine e con essa estate,
E anch'io, mi dico, passerò...
Ma resti dell'amore che mi strazia
Non solo segno un breve appannamento
Se dall'inferno arrivo a qualche quiete...

12.

Sotto la scure il disilluso ramo
Cadendo si lamenta appena, meno
Che non la foglia al tocco della brezza...
E fu la furia che abbattè la tenera
Forma e la premurosa
Carità d'una voce mi consuma...

13.

Non più furori reca a me l'estate,
Nè primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!...


15.

Rievocherò senza rimorso sempre
Un'incantevole agonia di sensi?
Ascolta, cieco: "Un'anima è partita
Dal comune castigo ancora illesa..."

Mi abbatterà meno di non più udire
I gridi vivi della sua purezza
Che di sentire quasi estinto in me
Il fremito pauroso della colpa?

17.

Fa dolce e forse qui vicino passi
Dicendo: "Questo sole e tanto spazio
ti calmino. Nel puro vento udire
Puoi il tempo camminare e la mia voce.
Ho in me raccolto a poco a poco e chiuso
Lo slancio muto della tua speranza.
Sono per te l'aurora e intatto giorno"

Ritorna

mercoledì 6 gennaio 2010

Poesie sulla Befana con" storia della Befana"


La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
col cappello alla romana
viva viva la Befana! "
la Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
con le toppe alla sottana
viva viva la Befana;


Canto sardo dell'Epifania

A zent'anni li padroni
si zi daghedi cantà
un pattu vogliu fà
non ni vogliu iscì in gherra
noi andremmu terra terra
che li cristian vibi
tanti inoghi e tanti inchibi
fiaba non li vurremmu
tutti li dinà chi femmu
li punimmu a cocci e sori
cariga di don saori
dedizinni in cantiadi
un piattu a li leccai
a lìchi pononi fattu
e a noi un buon piattu
di chissa cariga buona
a zent'anni la padrona.
La Befana

L. Pisani
Stasera
il bambino non vuole dormire
gli han detto domani
verrà la Befana
coperta di tempo
pesante di doni
verrà a premiare
fra tutti i pili buoni.
Stasera il bambino non vuole dormire
inizia un'attesa
comincia a soffrire.

Filastrocca della Befana

Zitti, zitti presto a letto
la Befana è qui sul tetto,
sta guardando dal camino
se già dormono i bambini,
se la calza è già appesa,
se la luce è ancora accesa!
Quando scende è sola sola,
svelti, svelti sotto le lenzuola!
Li chiudete o no quegli occhi!
Se non fate i buoni niente
dolci nè balocchi, solo
cenere e carbone.


Filastrocca della Befana

La Befana di Torino
ha due buchi nel calzino
mentre quella di Milano
ha le toppe nel pastrano:

Arrivate a Riccione
si comprarono un bel maglione
e alla scopa stanca di volare
fanno fare un bel tuffo nel pallone.

Le Befane riprendono a volare
che i bambini già le aspettano
i camini son pronti con i calzini
dei ragazzini di Rimini e Venezia.


Frammenti di carbone
Silvana Pagella

Brillano i diamanti
d’immenso valore,
emanando spiragli di bagliore;
ma, in realtà,
non sono null’altro
che frammenti di carbone.

La Befana
Guido Gozzano

Discesi dal lettino
son là presso il camino,
grandi occhi estasiati,
i bimbi affaccendati

a metter la scarpetta
che invita la Vecchietta
a portar chicche e doni
per tutti i bimbi buoni.

Ognun, chiudendo gli occhi,
sogna dolci e balocchi;
e Dori, il più piccino,
accosta il suo visino

alla grande vetrata,
per veder la sfilata
dei Magi, su nel cielo,
nella notte di gelo.

Quelli passano intanto
nel lor gemmato manto,
e li guida una stella
nel cielo, la più bella.

Che visione incantata
nella notte stellata!
E la vedono i bimbi,
come vedono i nimbi

degli angeli festanti
ne' lor candidi ammanti.
Bambini! Gioia e vita
son la vision sentita

nel loro piccolo cuore
ignaro del dolore.


La Befana
Giovanni Pascoli


Viene viene la Befana
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! La circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.
E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.
Che c’è dentro questa villa?
Uno stropiccìo leggero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?
Guarda e guarda...tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
guarda e guarda...ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini.
Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale;
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? Chi mai scende?
Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.
La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.
E che c’è nel casolare?
Un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?
Guarda e guarda... tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra la cenere e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti...
E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila...
Veglia e piange, piange e fila.
La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.
La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange e c’è chi ride;
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.


La Befana vien di notte

con le scarpe tutte rotte
col vestito alla romana
viva viva la Befana….
La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
con le toppe alla sottana
Brutta e sudicia Befana
La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
con il cappello da bersagliera
la Befana è in ciel.

Quando è l'ora, la Befana

Quando è l'ora, la Befana
alla scopa salta in groppa.
D'impazienza già trabocca:
l'alza su la tramontana,
fra le nuvole galoppa.
Ogni bimbo nel suo letto
fa l' esame di coscienza:
maledice il capriccetto,
benedice l' ubbidienza:
La mattina al primo raggio
si precipita al camino.
Un bel dono al bimbo saggio,
al cattivo un carboncino!

Arriva la Befana!

M'avevan detto, la Befana
non é più tanto lontana
sulla scopa è già per via
giungerà all'Epifania.
Porterà ai bimbi buoni
chicche dolci ed altri doni.
La Befana qui passò
tutto questo mi portò!
Se sia brutta vecchia e storta
non lo so e non me ne importa,
so soltanto che il suo arrivo
rende il cuore più giulivo !

Arriva la Befana!

Fate nanna, piccolini,
nei lettini
bianchi e belli come panna;
fate nanna!
Dal castello delle fate,
ch’ è lassù, lontan lontano
fra le nevi immacolate,
al camino vien, pian piano
la Befana, ricca e buona,
che vi dona
cavallucci, bamboline
e balocchi senza fine.

Glieli porta l’ asinello,
forte e bello,
che le orecchie ha lunghe assai:
se vi sente, o bimbi, guai!

Fate nanna, piccolini,
nei lettini
bianchi e belli come panna;
fate nanna!

Filastrocca della Befana!

La Befana è una vecchietta,
linda arzilla e piccoletta;
va discinta ha in man la sacca,
porta scarpe alla polacca.
Lo sciallino ha sulla vesta
e la cuffia porta in testa;
ratta va senza che faccia
sulla neve alcuna traccia.

E si cala pei camini
né si sporca i vestitini;
alla sacca dà di piglio
dove stanno in scompiglio
cavallucci pupazzetti
palle bambole e confetti
e li pone tra gli alari
degli spenti focolari.

I fanciulli sul mattino
tutti corrono al camino
e a quei doni misteriosi
restan timidi e pensosi
esclamando: "Cosa strana!
Chi sarà questa Befana?".

E’ tornata la befana

E' tornata la befana
a cavallo di una scopa:
vola senza far rumore
nella notte nera nera

Sulle spalle ha tanti sacchi
e li posa sui camini
tira fuori sorridente
i regali per i bambini

Bambole e trenini
giostre e orsacchiotti,
dischi e grembiulini,
dolci e biscottini,
ma più bello ancora
essa sa donare
una grande gioia
che non si può scordare.


Storia della Befana

La storia della nascita della Befana pone le sue radici all’interno di una tradizione culturale di matrice pagana, di superstizioni e aneddoti magici.


Il periodo natalizio si pone in un momento dell’anno che storicamente era ricco di rituali e usanze legati alla terra, all’inizio del nuovo raccolto e all’idea di propiziarsi fortuna e prosperità nell’anno nuovo.
Già gli antichi Romani celebravano l'inizio d'anno con feste in onore al dio Giano e alla dea Strenia (da cui strenna natalizia). Queste feste erano chiamate le Sigillaria; ci si scambiava auguri e doni in forma di statuette d'argilla o di bronzo e perfino d'oro e d'argento. Queste statuette erano dette "sigilla", dal latino "sigillum", diminutivo di "signum", statua. Le Sigillaria erano attese soprattutto dai bambini che ricevevano in dono i loro sigilla (di solito di pasta dolce) in forma di bamboline e animaletti.

La Befana è un personaggio che ha colto suggestioni da diversissime leggende e trasposizioni culturali. Inizialmente, e si parla ancora del periodo romano politeista, la popolazione venerava Diana, la dea della caccia e della fecondità che nelle notti che precedevano l’inizio della nuova semina si diceva passasse, con un gruppo nutrito di donne, sopra i campi, proprio per renderli fertili e fecondi al nuovo raccolto.

L'enciclopedia Treccani ne dà la seguente definizione: è per il popolo un mitico personaggio in forma di orribile vecchia, che passa sulla terra dall'1 al 6 gennaio. Nell'ultima notte della sua dimora il mondo è pieno di prodigi: gli alberi si coprono di frutti, gli animali parlano, le acque dei fiumi e delle fonti si tramutano in oro. I bambini attendono regali; le fanciulle traggono al focolare gli oroscopi sulle future nozze, ponendo foglie di ulivo sulla cenere calda; ragazzi e adulti, in comitiva, vanno per il villaggio cantando...in alcuni luoghi si prepara con cenci e stoppa un fantoccio e lo si espone alle finestre...I contadini della Romagna toscana sogliono invece portarlo in giro sopra un carretto, con urli e fischi, fino alla piazzetta del villaggio, ove accendono i falò destinati a bruciare la Befana...Gli studiosi vedono nel bruciamento del fantoccio (la Vecchia, la Befana, la Strega), che persiste un po’ dappertutto in Europa, la sopravvivenza periodica degli spiriti malefici, facendo risalire il mito della befana a tradizioni magiche precristiane...

Col passare dei secoli la deriva pagana diede spazio alle interpretazioni cristiane; siamo ovviamente in un medioevo fatto di persecuzioni alle streghe e di forte fervore religioso. Ed è qui che avviene un primo incontro di culture, la bella Diana diviene una brutta donna e i riti dei falò (si bruciava il vecchio per dare spazio al nuovo) divengono dei veri e propri roghi della vecchia, dove una simbolica attempata strega viene posta al di sopra di questi roghi. Le contaminazioni pagane e cristiane generano quindi una figura di donna che è un misto di entrambe le culture, da una parte vive la buona Diana e dall’altra la cattiva strega che deve essere bruciata.

Questo rito propiziatorio, a cui ancora oggi possiamo assistere, è stato poi abbracciato dalla chiesa ed è qui che nasce la leggenda bella Befana. Si dice che i Re Magi in viaggio per Betlemme avessero chiesto informazioni sulla strada ad una vecchia, e che avessero insistito perché lei andasse con loro a portare i doni al salvatore. La vecchia rifiutò, ma poco dopo, pentita, preparò un cestino di dolci e si mise in cerca dei Magi e del bambino Gesù.

Non trovandoli bussò ad ogni porta e consegnò dolci ai bambini sperando di potersi così far perdonare la mancanza. Con la mediazione del cristianesimo la Befana diviene quindi una specie di strega, vestita di stracci, brutta e che vola sopra i tetti con una scopa, ed ha quindi un lato perfido che la rende un personaggio estremamente affascinante. Se infatti molti altri benefattori come Babbo Natale o San Nicola portano doni a tutti, la Befana porta dei regali modesti e tanto carbone a chi non è stato buono.


L’etimologia del nome Befana, è strettamente legato al nome della festa, è una derivazione infatti delle forme dialettali con cui il popolo esprimeva il termine “Epifania”. Il dualismo affascinante che sta sotto alla figura di questa vecchia è forse il motivo per cui non è mai diventata un vero e proprio oggetto commerciale, fatta esclusione per gli ultimi anni.

Se San Nicola è un santo protettore, e Babbo Natale un paffuto rubicondo nonnino che accontenta tutti i bambini, la Befana è invece la sostanza femminile pagana di una lunga tradizione rituale contadina.
Non porta soldi, e non ha neppure un gruppo di elfi artigiani per fare regali, la Befana tradizionale porta arance, noci, piccoli dolci casalinghi e carbone, ultimamente zuccherato ma comunque carbone, e ci ricorda che dopo le feste si torna a lavorare a “sgobbare” per i frutti del terreno.

Non è un caso l’usanza di dire “l’epifania tutte le feste porta via”. Perché è proprio dopo il sei Gennaio che il contadino ricominciava con la nuova semina, che si riprendevano i fervori casalinghi per dar vita ad un nuovo, e si sperava, prosperoso raccolto.

La Befana è un personaggio molto inserito nella cultura italiana ma questa leggenda trova riscontri anche nelle tradizioni precristiane olandesi o tedesche.

E così presso i tedeschi del nord troviamo Frau Holle che nella Germania del sud, diventa Frau Berchta. Entrambe queste "Signore" portano in sé il bene e il male: sono gentili, benevole, sono le dee della vegetazione e della fertilità, le protettrici delle filatrici, ma nello stesso tempo si dimostrano cattive e spietate contro chi fa del male o è prepotente e violento. Si spostano volando o su una scopa o su un carro, seguite dalle "signore della notte", le maghe e le streghe e le anime dei non battezzati.


Befane alla riscossa
Cristina pia Sessa Sgueglia

Befane arruffate
Di stringhe a sorpresa
Stracciate di stoffe legate
E nasi aquilini in difesa.
Di scope destrieri felini
Di sacche di juta e carbone
Attese da grandi e bambini
Se portano doni e torrone.
Ma vecchie in gonnelle sapienti
Saltellano in groppa di crine
Befane carine esordienti
Spazzine rifatte veline.
Di notte nel cielo stellato c’è mossa
in circuito celeste che sposta
le vecchie befane alla nuova riscossa!
Cristy2009