LA POESIA NON E'.....

"La poesia non è un abito da sera, ma un paio di comodi jeans.
Con i versi si può giocare, le parole si possono maneggiaree usare come una cosa di tutti i giorni.
Senza soggezioni né accademia.
E allora si impara a conoscere meglio se stessi e il mondo."

domenica 10 gennaio 2010

IL TESTO POETICO



UNGARETTI

PERCHE' LEGGERE UN TESTO POETICO



Siamo abituati a considerare la poesia come un testo particolarmente complicato e difficile da capire.

Già la poesia "classica" si sottoponeva a particolari regole costrittive — una certa quantità di sillabe per ogni verso (ossia una misura metrica), un certo numero di versi, uno schema di rime e un buon numero di figure retoriche, come la metafora — che provocavano sempre qualche contorsione e qualche complicazione anche nel discorso più votato alla chiarezza.

La poesia moderna, invece, si è sbarazzata delle regole fisse, dopo un secolo di versi liberi e di difformità strofiche, eppure non per questo è diventata più semplice: i suoi rimandi al significato si sono ingarbugliati, anzi, al punto che l’ambiguità (il dubbio su "cosa vuol dire" il testo) è diventato uno dei suoi tratti costitutivi e forse proprio il principale.

Perché, allora, dovremmo leggere la poesia in un’epoca in cui siamo riempiti di messaggi che comunicano immediatamente qualcosa, sia essa un’informazione, una richiesta d’aiuto, un invito all’acquisto?
A che scopo sprecare tempo e fatica invece di rilassarci e divertirci?

Trovare una risposta non è semplice, anche perché i fatti parlano da soli e mostrano che in un mondo di comunicazioni "facili" e veloci la poesia non incontra più il favore dei lettori.
Né è valido sostenere che la poesia è antichissima ed è impossibile che il genere umano rinunci a una forma di espressione che ha utilizzato per così tanto tempo. Della persistenza della poesia non possiamo avere nessuna certezza. Quello che possiamo dire riguarda invece la qualità dei messaggi veloci che oggi sembrerebbero aver preso il posto della poesia (la poesia odierna non sono forse le canzoni, gli slogan, la pubblicità?); ebbene queste forme di espressione sono fin troppo rapide, tanto da sacrificare qualsiasi spessore e densità, puntano non a far pensare, ma a colpire nella durata minima del consumo immediato — e poi: sono messaggi-merce, ben legati all’interesse commerciale di una rendita manifesta.

La poesia è più complessa non già perché disinteressata — come vorrebbero i tanti fautori della poesia "pura" — ma perché è un tipo di messaggio che tende a dare una visione, nel suo linguaggio concentrato e sintetico, dell’io del poeta e del suo rapporto con la società: e tra l’io e la società, e nell’io stesso (a sua volta diviso) circola una grande disparità, pluralità e contraddittorietà di interessi.

La poesia è ambigua, allora, perché ambiguo (enigmatico, paradossale, assurdo) è il mondo moderno in cui viviamo. Il poeta potrebbe far finta di niente e dedicarsi ai temi tradizionali della sfortuna sentimentale o del trascorrere del tempo; e molti poeti lo fanno: ma se solo guarda con attenzione alla propria vita non può che trovare grande quantità di confusione e controsensi e garbugli pressoché irrisolvibili. Per parlare di quelli non potrà usare parole semplici.

Lo stesso vale per il lettore: se vuole essere rassicurato e specchiarsi in una tranquilla identità forse gli conviene rivolgersi alle immagini e alle narrazioni di consumo. La poesia può invece servire a chi è insoddisfatto e vuole spingere più avanti l’osservazione dei nodi problematici dell’immaginario personale e collettivo. Per questo le immagini linguistiche della poesia funzionano precisamente come specchi deformanti, distorcenti e stranianti del ritratto consueto che ci rimandano le comunicazioni ufficiali.

La cosa migliore che possano fare è obbligare anche i lettori a spostarsi in un altrove, in uno spazio diverso, dove ancora possa emergere la spinta dell’utopia.

Perciò la poesia di oggi si deve leggere come un percorso di ricerca di un senso che non è prescritto in partenza.

È come quando si guarda un quadro e non si sa da che parte cominciare.

Ci si potrà rivolgere alla sonorità delle parole, e dare ascolto alla loro musica o alla loro asprezza. E si potrà anche seguire il ritmo della ricorrenza degli accenti o di determinate parole "ritornanti" o disposte in posizioni-chiave. Abbandonate le regole che prescrivevano la misura fissa, la poesia moderna si affida a ritmi molto vari che comprendono i cambiamenti di ritmo, la dissonanza, il contrasto.

Ma ci sono anche i sensi che le parole suggeriscono mediante le sfumature del significato (significati allusivi, analogie, echi tra parti anche lontane del discorso). Anche qui la poesia ha un ritmo: ora si accende di illuminazioni e sembra avere raggiunto la rivelazione assoluta, ora si spegne e si ripiega nella constatazione del fallimento, nella negazione di qualsiasi significato. C’è anche, infine, un ritmo delle idee che la poesia — sebbene il senso comune la ritenga priva di logica — spesso contiene e rielabora, anch’esse in forma concentrata e sintetica.

Proprio in questo ritmo, in questa ginnastica mentale, nel tentativo di raggiungere una comprensione che è sempre e soltanto probabile è la ragione del fascino che la poesia continua a mantenere e che spinge ancora molti a praticarla e ad ascoltarla, malgrado le difficoltà e i tanti imperativi della ragione utilitaria che vorrebbero dissuadere e distogliere dalle "licenze poetiche".

Il Testo poetico

Che cos’è

Il testo poetico è un’opera in versi in cui l’autore esprime un messaggio. Il termine poesia, dal greco poieìn, indicava la creazione di un’opera che in qualche modo superava gli altri generi di scrittura. Dall’Ottocento in poi non esistono più rigide distinzioni e il termine poetico viene utilizzato anche per rilevare l’aspetto lirico di molte pagine di prosa di alta qualità letteraria.

Caratteristiche

Nell’analisi di un testo poetico è necessario prestare attenzione alle seguenti caratteristiche:

• il linguaggio, che segue regole totalmente diverse da quello della lingua con la quale siamo soliti esprimerci;

• i versi, che si riconoscono visibilmente rispetto alle righe del testo in prosa, la cui lunghezza raggiunge il margine destro della pagina;

• la musicalità, estranea ai normali testi narrativi in prosa e alle nostre conversazioni;

• il significato che il testo poetico riesce a esprimere con un certo livello di complessità, grazie al modo in cui il messaggio viene organizzato. Nel linguaggio comune il significante (la successione di lettere alfabetiche che formano la parola) rimanda a un preciso significato, secondo quanto stabilito convenzionalmente dal codice lingua. Nel linguaggio poetico, invece, il poeta utilizza in modo del tutto personale il significante, attribuendogli dei significati che non sono più quelli stabiliti dal codice.



Giuseppe Ungaretti



Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888. La sua famiglia, di origine contadina, aveva lasciato la Lucchesia per seguire Antonio Ungaretti, il capofamiglia, il quale aveva trovato lavoro come sterratore presso il canale di Suez. Nel 1890, tuttavia, alla tenera età di due anni, Giuseppe rimase orfano del padre assieme al fratello, Costantino, di otto anni più grande di lui. Fu costretta ad occuparsi dei figli la sola madre, una donna energica, molto religiosa, che gestiva alla periferia della città, dove la famiglia viveva, un forno di proprietà del marito. A quell’epoca era presente in famiglia anche Anna, una vecchia croata. Le vicende fantasiose e le notizie esotiche, sulla base dei suoi trascorsi avventurosi, che ella raccontava si impressero definitivamente nella memoria del futuro poeta. L’abitazione degli Ungaretti si trovava ai limiti del deserto e la sensibilità di Giuseppe fu segnata per sempre dai silenzi, dai suoni misteriosi, dai colori di quel paesaggio favoloso e primitivo. A questa prima immagine se ne aggiunse nella fantasia un’altra, quella dell’Italia lontana. Ad alimentarla contribuirono i discorsi che se ne facevano in famiglia e i racconti di perseguitati politici e fuoriusciti italiani ai quali la madre offriva generosa ospitalità. La sua istruzione scolastica iniziò in un collegio di religiosi, l’Istituto don Bosco, e proseguì all’Ecole Suisse Jacot, dove compì gli studi liceali. Qui conobbe Mohammed Sceab, un giovane arabo di cui divenne amico fraterno. In questa scuola, grazie all’interessamento dei suoi insegnanti, poté avvicinarsi alla conoscenza della letteratura europea. Lesse ed amò, tra gli altri, Baudelaire, Mallarmè, Lafourge ed in particolare Giacomo Leopardi. La sua fu una formazione dilettantesca, al di fuori degli schemi culturali ed accademici tradizionali. Attraverso l’amico Sceab conobbe Enrico Pea, uno scrittore toscano, originario della Versilia. Costui, anarchico convinto, oltre a svolgere delle promiscue attività commerciali, teneva delle riunioni di affiliati e simpatizzanti sopra un deposito di legname, nella cosiddetta “Baracca rossa”. Da queste riunioni nascevano spesso clamorose dimostrazioni pubbliche, che si concludevano talvolta col fermo e con l’arresto dei partecipanti. Ungaretti simpatizzò e prese parte a queste attività, sia di persona, sia attraverso la redazione di articoli, novelle e scritti diversi che venivano pubblicati sui fogli di propaganda anarchica. Nel frattempo venne a conoscenza dell’esistenza della rivista “La voce”, nata nel 1908 a Firenze, vi si abbonò e ne divenne corrispondente per l’Egitto, legandosi di amicizia epistolare con i suoi redattori.


Ideologia e Poetica

Ungaretti vive nel periodo in cui la borghesia, dopo aver realizzato in Italia il capitalismo, non porta avanti gli ideali di giustizia e libertà, ma si chiude in se stessa, temendo di perdere la propria egemonia, e affida la risoluzione delle proprie contraddizioni sociali prima al colonialismo-imperialismo, poi alla guerra mondiale, al fascismo e alla II guerra mondiale.

Ungaretti è il maestro riconosciuto dell’Ermetismo. Il termine “ermetico” significa “chiuso”, “oscuro”. La definizione venne adottata per la prima volta dalla critica nel ‘36, in riferimento soprattutto alla sua poesia. Successivamente si inclusero negli ermetici anche Montale, Saba e in parte Quasimodo.

· L’Ermetismo si oppone soprattutto al Decadentismo di D’Annunzio, cioè agli atteggiamenti estetizzanti e superomistici; ma anche a quello del Pascoli, giudicato troppo bozzettistico e malinconico, troppo soggettivo e poco universale.

· L’Ermetismo si oppone anche ai crepuscolari, ai futuristi, ai “vociani”, perché non si accontenta di una riforma stilistica e non sopporta la retorica.

E’ l’esperienza della guerra che rivela al poeta la povertà dell’uomo, la sua fragilità e solitudine, ma anche la sua spontaneità e semplicità (primitivismo) che viene ritrovata nel dolore. L’esistenza è un bene precario ma anche prezioso. In guerra egli si è sottratto ad ogni vanità e orgoglio; nella distruzione e nella morte ha però riscoperto il bisogno di una vita pura, innocente, spontanea, primitiva. Ha acquisito compassione per ogni soldato coinvolto nell’assurda logica della guerra: ha maturato, per questo, un profondo senso di fraterna solidarietà. La sua visione esistenziale è dolorosa perch’egli pensa che l’uomo non abbia la possibilità di concretizzare le sue aspirazioni conoscitive e morali. Ungaretti non crede nelle filosofie razionali e cerca di cogliere la realtà attraverso una poetica che s’incentri sull’analogia, cioè sul rapido congiungimento di ordini fenomenici diversi, di immagini fra loro molto lontane che la coscienza comune non metterebbe insieme.

Questa esperienza lo porta a rifiutare -soprattutto nell’Allegria- ogni forma metrica tradizionale: rifiuta il lessico letterario, le convenzioni grammaticali, sintattiche e retoriche (ad es. elimina la punteggiatura, il “come” nelle analogie, ecc. Diventano importanti gli accenti tonici, le pause). Crea un ritmo totalmente libero, con versi scomposti, brevissimi, scarni, fulminei, dove la singola parola acquista un valore assoluto, dove il titolo è parte integrante del testo. La poetica qui è frammentaria, allusiva, scabra, anche perché il poeta non ha una realtà ben chiara da offrire.

Ne Il porto sepolto Ungaretti lascia intendere che poesia significa possibilità di contemplare la purezza in un mondo caotico e assurdo, ma la poesia dev’essere espressione di un’esperienza particolare, intensamente vissuta: la ricerca del vocabolo giusto è faticosa, perché l’uomo deve liberarsi del male che è in lui e fuori di lui.

Ne L’allegria il poeta non accetta le illusioni e preferisce star solo con la sua sofferenza (cfr. Peso, dove al contadino-soldato che si affida, ingenuamente, alla medaglia di Sant’Antonio per sopportare meglio il peso della guerra, il poeta preferisce stare “solo”, “nudo”, cioè senza illusioni (“senza miraggio”), con la sua anima. Ungaretti tuttavia non è ateo: si limita semplicemente a chiedersi che senso ha Dio in un mondo di orrori (cfr Risvegli) e perché gli uomini continuano a desiderarlo quando ciò non serve loro ad evitare gli orrori (cfr Dannazione). Il contrasto è fra una religiosità tradizionale, superficiale, e una religiosità più intima e sofferta, che in Fratelli si esprime come profonda umanità, partecipazione al dolore universale. E’ solo negli Inni che Ungaretti ripone nella fede religiosa la soluzione delle contraddizioni umane (cfr La preghiera).

Il superamento dell’autobiografismo e la modificazione dello stile ermetico avviene nel Sentimento del tempo. Qui il poeta ha consapevolezza che il tempo è cosa effimera rispetto all’eterno (la riflessione è molto vicina ai temi della religione). La poesia aspira a dar voce ai conflitti eterni, a interrogativi drammatici: solitudine e ansia di una comunicazione con gli altri, rimpianto di un’innocenza perduta e ricerca di un’armonia col mondo, ecc. In questa raccolta Ungaretti ritrova i metri e i moduli della tradizione poetica italiana (ad es. riscopre il valore dell’endecasillabo, del sistema strofico, della struttura sintattica).
L’ultima importante raccolta, Il dolore, contiene 17 liriche dedicate al figlio e altre poesia di contenuto storico (sulla IIa guerra mondiale). Qui il discorso diventa più composto, quasi rasserenato. Toni e parole paiono affiorare da un’alta saggezza raggiunta al prezzo di una drammatica sofferenza. Il poeta esprime una inappagata ma inesauribile tensione alla pace e all’amore universali.

La tristezza di Ungaretti
L’ermetismo è una forma d’individualismo ma sofferente. E’ più profondo del decadentismo del Pascoli e di tutte le correnti ad esso contemporanee: futurismo, crepuscolarismo, superomismo dannunziano, “vocismo”...; forse lo si può paragonare al simbolismo francese.

L’ermetismo però non contiene messaggi etico-politici significativi. Anzi, con Ungaretti (che era partito, come il Pascoli, dal socialismo anarchico), esso giunge a desiderare la dittatura politica, nell’illusione di poter risolvere i mali sociali.

Il suo ermetismo, che fu apprezzato da Mussolini, esprime il bisogno di recuperare la purezza originaria degli individui, la loro primitiva semplicità e forza d’animo. L’intenzione, di per sé, è lodevole, ma se in politica si cerca di affermare un principio del genere, senza realizzare, nel contempo, una rivoluzione sociale e culturale, lo sbocco verso l’ideologia fascista diventa inevitabile, anche se un poeta come Ungaretti non potrà non accorgersi, in seguito, che il regime fascista, incapace di affrontare la complessità della vita, predicava solo illusioni e mistificazioni.

L’ermetismo, se si fosse agganciato ai temi del proletariato, avrebbe avuto un’immensa fortuna. C’è della sensualità nella bellissima poesia Natale, soprattutto laddove si parla di “caldo buono” e di “quattro capriole”. Il poeta sembra aver rifiutato l’invito dei suoi amici soldati, in licenza come lui, di dimenticare (forse in qualche postribolo) le fatiche e gli orrori della guerra.

Al poeta non piacciono gli atteggiamenti superficiali, evasivi: egli ha “troppa stanchezza”, cioè troppa amarezza, per poter fingere. Preferisce star solo coi suoi pensieri piuttosto che, senza pensieri, nelle braccia d’una donna d’occasione. Gli sembrerebbe di tradire se stesso, di venir meno all’impegno di prendere con serietà le cose della vita.

Il “caldo buono” è quello che riscalda l’anima, non il corpo, quello che riconcilia con l’esistenza, che aiuta ad accettare il dolore con sobrietà e coerenza. Anche questo è un modo di vivere la sensualità: “le quattro capriole di fumo nel focolare” gli tengono compagnia come un’amante che lo conosca nel suo più profondo





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