LA POESIA NON E'.....

"La poesia non è un abito da sera, ma un paio di comodi jeans.
Con i versi si può giocare, le parole si possono maneggiaree usare come una cosa di tutti i giorni.
Senza soggezioni né accademia.
E allora si impara a conoscere meglio se stessi e il mondo."

sabato 2 gennaio 2010

L'INFINITO



La capacità dell'uomo di far sorgere in sé un'immaginazione del vago e dell'indefinito, in luogo della semplice vista delle cose, è dolce e piacevole, ed è tipica dei fanciulli e degli uomini dell'età antica.
D'in su la vetta della torre antica...
Questa sensazione sta all'origine anche delle illusioni. Si tratta della sensazione-esperienza di un "oltre" rispetto alla semplice vista delle cose: ma un oltre che non esiste, che è solo prodotto dell'immaginazione umana, anche se l'uomo desidera perdersi in esso, lo trova una cosa dolce. In questo idillio è aperta una via verso la dolcezza di queste sensazioni: ma esse rimangono semplicemente constatate e cantate dal poeta, non vengono interpretate.
Il seguito della sua opera sarà un progressivo muoversi verso la convinzione dell'impossibilità di questo "infinito-oltre" per l'uomo.
L'INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell'ultimo orizzonte il guardo escude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura.

E come il vento Odo stormir tra queste piante,

io quelloInfinito silenzio a questa voce

Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s'annega il pensier mio:

E il naufragar m'è dolce in questo mare.

Nota metrica: endecasillabi sciolti.
NOTE
1. quest'ermo colle: secondo la tradizione, il colle solitario (ermo) sarebbe il monte Tabor, un'altura nei pressi di casa Leopardi; ma la determinazione concreta del luogo è assolutamente irrilevante. Quanto ad "ermo", va rilevato che <<è la prima di tutta una serie di parole indefinite che costituiscono uno degli aspetti più caratteristici del linguaggio del canto>> (Fubini-Bigi).
2-3. che da tanta... esclude: che sottrae allo sguardo (il guardo esclude) così gran parte dell'estremo (ultimo latinismo) orizzonte.
4. sedendo e mirando: fermandosi a guardare (dando così al verbo sedere il significato generico di "stare"); secondo Citati, invece, Leopardi <>, poiché il limite era voluto:<>.
4. interminati: senza fine, senza termine; <> (Zibaldone, p.1825); cfr. sovrumani (v.5) e profondissima (v. 6).
5. quella: la siepe.
7. mi fingo: mi costruisco, mi immagino; (Zibaldone, p. 171).
7. ove: <> (Solmi).
8. come: quando.
9-10. tra queste... voce: il gioco dei rimandi tra realtà/immaginazione/realtà è sostenuto dal deitico dimostrativo queste/quello/questa; questa voce: quella del vento che stormisce fra le pietre.
11. Vo comparando: vado paragonando, confronto.
11. l'eterno: <> (Fubini-Bigi).
12. le morte stagioni: tutte le età passate, tutta la storia; cfr. La sera del dì di festa, vv. 33-39: <> (Zibaldone, pp. 50-51).
12-13. e la presente...di lei: e il tempo presente che ancora vive, attraverso il rumore del vento.
14. immensità: (Flora).
15. m'è dolce: mi risulta piacevole: <> (Puppo).
"L'Infinito" è il primo di quei primi componimenti che il poeta pubblicò nel 1825 col nome di "Piccoli Idilli". L'idillio leopardiano si distingue profondamente da quello della tradizione; non è più il quadretto bucolico, un componimento piacevole di ispirazione pastorale, ma l'espressione poetica di un'avventura interiore, di un moto dello spirito nato dalla contemplazione nuova ed attonita di un aspetto della natura, o dalla rinnovata capacità di sentire e vedere.
Si coglie così, nel senso più alto, che dallo stato d'animo idillico, da questa contemplazione "interiore" della natura, derivano alcune delle voci più nuove del poeta. Fin da fanciullo, lo ricorda lo "
Zibaldone" nelle pagine scritte fra il 12 e il 13 Luglio del 1820, il poeta amava guardare il cielo "attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia" (cioè attraverso l'andito o corridoio fra due case); nella poesia "L'Infinito" il poeta ha trovato le ragioni di questa preferenza: infatti, "da una veduta ristretta e confinata" nasce il desiderio dell'infinito, perché allora in luogo della vista lavora l'immaginazione ed il fantastico sottentra al reale.
L'anima si immagina quello che non vede, ciò che quella siepe, quella torre gli nasconde e va errando in uno spazio immaginario e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario.
L'immergersi in una coscienza cosmica dell'infinito non è inteso dal Leopardi come abbandono ad una pura emozione, ad un immediato vagheggiamento musicale, nasce sempre da una consapevolezza vigile della realtà, da un'esigenza di superamento dei suoi dati immediati. Per questo si parla di una dimensione religiosa dell'Infinito nel Leopardi: quello che più tardi diventerà, nel "Canto notturno" o nella "
Ginestra", meditazione ammirata dell'immensità della vita, del cosmo, qui è ancora ansia e vagheggiamento di assoluto e di eternità che nasce dalla coscienza della finitezza della propria realtà individuale.
Analisi
"L'Infinito" si divide in due parti esattamente uguali, come dimostra il punto fermo a metà dell'ottavo verso. Nella prima metà della poesia è descritto l'infinito dello spazio, nella seconda metà, l'infinito del tempo: per definire l'infinito, ci dice il poeta, sono necessarie ambedue le coordinate, lo spazio e, appunto, il tempo.
Gli elementi esteriori si riducono ad un colle, ad una siepe che limita l'orizzonte, ad uno stormire di fronde. Sulla cima di un colle una siepe impedisce allo sguardo la vista di una grande parte dell'orizzonte. Ma quello che è l'ostacolo alla vista degli occhi diviene stimolo alla visione interiore, all'immaginare del poeta. Sorgono così dentro di lui gli "interminati spazi" del cielo, e i "sovrumani silenzi e la profondissima quiete" del vuoto; e quasi il cuore del poeta "non si spaura".
Ma a proseguire l'idillio sopraggiunge un lieve rumore di vento, l'unico breve rumore sulla cime del colle. E da quella voce il poeta è ricondotto alle cose finite; e giunge al confronto di esse con l'eterno, al pensiero delle "morte stagioni", e della stagione presente così viva, così reale con i suoi rumori intorno al poeta. Dove va il tempo? Come da una siepe è nato l'infinito dello spazio, così da un soffio è sorto quello del tempo; un infinito ancora più sovrumano e indeterminato che la mente invano cerca di sondare.
Si noti, immediatamente, quanto l'idea dell'infinito sia lontana da qualsiasi determinazione scientifica o filosofica. Per questo i legami col reale o hanno la vaghezza di sogno, oppure si affidano alla purezza della sensazione immediatamente tradotta in fantasia, e la fantasia cresce in sentimento.
Il processo si ripete due volte:
Sensazione visiva (sguardo impedito dalla siepe);Fantasia (immaginazione di mondi sterminati e silenziosi);Sentimento ("ove per poco il cor non si spaura");Movimento che sembra di interiorizzazione ("io nel pensier mi fingo").
Sensazione auditiva (vento che stormisce fra le piante);Fantasia (eternità, trascorrere del tempo);Sentimento ("e il naufragar m'è dolce in questo mare");Movimento di esteriorizzazione ("e il naufragar m'è dolce in questo mare").
"L'Infinito", tendendo al vago e all'indefinito, attua un'esplorazione della soggettività, ma anche della tensione concettuale. Emergono in particolare:
* L'indicazione di uno spazio concreto (l'area limitata della siepe) e di uno specifico, personale (consuetudine).* Il processo di astrazione, visione mentale dello spazio.* Il passaggio dall'immagine aspaziale a quella temporale. Contrapposizione fra spazio concreto e tempo.* Lo smarrimento genera piacere.
Il critico Lotman, pone la contrapposizione tra:
Spazio interno: spazio chiuso, rotondità della collina che lo delimita.
Spazio esterno: sovrumano, immobile, mondo dei pensieri, mondo della morte, l'eternità

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